30 aprile 2011

La mela, l'albero, quelle cose lì

[in un crescendo di ritmo, volume, intensità, disperazione] - Mi metti le scappe? Mi metti le scappe? Mi metti le scappe? Mi metti le scappe? Mi metti le scappe? MI METTI LE SCAAAAAAAAAAAAAAPPEEEEEEEEEEEEEEEEE??

[Lui, procrastinatore dentro] - Roo, un attimo.
[con la voce che si sta per rompere in un pianto]- Pecchè non mi metti le scappe, pusami?
[gli ride in faccia] - Ti ho solo detto un attimo!
[braccia incrociate, offesissimo, le lacrime in tasca] - Non c'è niente da lidele!! Vado via, alloa.

- Diosanto Lara, è identico a te: impaziente, permaloso e melodrammatico.

Cosa vuoi, per un paio di scarpe questo e altro.
Ah, non ti riferivi solo alle scarpe?...

28 aprile 2011

Quella volta

Quella volta che poi io mi ero innamorata.
Quella volta che ci siamo avvicinati e poi abbiamo litigato.
Quella volta che abbiamo fatto pace e poi io sono sparita.
Quella volta che poi è sparito lui.

Quella volta che un bacio in macchina nel posto più sbagliato, quella volta che mille parole e una coperta, quella volta che "non si può capire".

Quella volta che mi ha sollevato le braccia sopra la testa e mi ha baciato il collo.
Quella volta di mani e respiri, quella degli anelli finti ma così veri, quella della gelosia e dell'inglese, quella di cioccolata e gatti. 
Quella volta di una scatola piena di didascalie, quella volta che "io guido negli spazi sterminati", quella volta il suo profumo buono, quella volta che mancava un lento.

Quella volta che gli ho chiesto solo di non dimenticarsi mai di me.
Come se fosse una cosa piccola, ma è la più grande che si possa chiedere a qualcuno.

Chissà se lo ha fatto.
È stato così grande ed è stato un attimo, è stato una vita fa o ieri, è stato vero o l'ho sognato.
Io non lo so.
Ma a volte, nelle pieghe tra un pensiero e un ricordo, "nella costante incertezza se un ricordo sia qualcosa che abbiamo o che abbiamo perso" (cit.), quella volta ritorna.








La sentite tutti, vero?
È la sindrome pre-mestruale che sta arrivando con il suo carico di assurda nostalgia. Poi passa, eh.

27 aprile 2011

Mi piace vincere facile

Sdraiata sulla lavatice, con i piedi sulla bilancia, peso proprio quello che ho sempre sognato. Voglio vivere qui, sul ripiano in corian del bagno.

25 aprile 2011

Ci rivedremo tra vent'anni minimo

Io credo che per una coppia trascorrere dei giorni con due famiglie, per un totale di altri quattro adulti e tre bambini, sia la più efficace forma di controllo delle nascite esistente al mondo.
Del tipo che i primi giorni "che carini, sono così vivaci!" detto con l'occhio a cuoricino e i pensieri che volano verso "magari un giorno anche noi".
E alla fine "parlano sempre così tanto e a questo volume?", con la mascella tesa, le occhiaie e l'espressione di chi pensa "ma neanche morti" (e tutto ciò accade mentre gli altri quattro adulti conversano amabilmente, indifferenti e indisturbati dall'inquinamento acustico infantile - bisogna essere davvero allenati per questo).

Formativo è formativo.
Istruttivo.
Illuminante.
A tratti "aspirazionale".

Ecco, il relax è un'altra cosa, spero sia chiaro.

22 aprile 2011

Easter what you want...


Quindi, Pasqua con chi vuoi. Da 4 diventeremo 7. 
C'è quasi da aver paura.
Se ne esco viva sarò di ritorno martedì.
Buona Pasqua, comunque!

21 aprile 2011

Se è così, entro lunedì ne voglio almeno 100

Maglietta subito:
"Un like non si nega a nessuno".

Il Saggio, così, en passant.


Quindi, avanti, andate a likare qui questo blog su facebook, coraggio, come regalo di compleanno.
Che è a giugno, macheccentra, portiamoci avanti, su.

Mio fratello è figlio unico (o comunque gli piacerebbe)

Ho un fratello più grande. Più grande di un anno, ma tanto bastava a 15 anni per innamorarmi sistematicamente dei suoi compagni di classe e per rubargli di nascosto le felpe, spacciandole poi con le mie amiche per quelle del mio ultimo flirt.
Le balle come le inventavo io, nessuno mai.
Balle... Diciamo più costruzioni alternative della realtà, ecco.

Abbiamo caratteri molto diversi, lui preciso io sommaria, lui attento io distratta, lui responsabile io, ehm, no io no. I nostri genitori ci hanno cresciuto nell'idea della condivisione fraterna, e quindi hanno sempre demonizzato il suo atteggiamento a proteggere le sue proprietà. Ma il discorso non era generalizzato, poverastella, lui non proteggeva le sue cose da tutto, le proteggeva da me.
Chè in effetti in svariate occasioni la vita gli ha dato ragione di questo suo comportamento, del tipo:
  • gli prendo di nascosto dall'armadio una felpa e la macchio di candeggina - non sono stata io, cosa vuoi che me ne freghi della tua felpa, è anche brutta, chitticredi
  • mi presta un saccoapelo per un weekend e io gliene porto a casa un altro, senza colpo ferire
  • mi presta un piccolo registratore e io glielo rendo senza il tasto play
  • mi dà un libro a cui tiene e mi cade nella vasca da bagno (piena, ovviamente)
  • mi concede l'uso del suo cellulare una sera (nel periodo incantato in cui il cellulare ce l'avevano in 10 nel mondo) e io lo dimentico dal benzinaio
Esempi infiniti di una convivenza lunga 24 anni. Credo che abbia vissuto l'anno di militare come un'età dorata in cui non avrei potuto danneggiarlo neanche volendo.

Gli è rimasta attaccata addosso questa diffidenza nei miei confronti.
L'ho visto chiaramente quando mi ha lasciato una mattina una cosa sua a cui tiene molto, sua figlia.
Dev'essere stato strano tornarsela a riprendere e ritrovarla intatta.

Dai, sono migliorata, oggettivamente. C'è speranza per tutti.

19 aprile 2011

You are my destiny

I giochi di destino. Si tratta di piccole scommesse che faccio sul futuro più immediato, sulla base di situazioni ed eventi che dipendono solo in parte da me. Li faccio da sempre, ora che ci penso, già da quando avevo sei o sette anni, e credo che vadano repertati alla voce “meccanismi psicologici effettivamente strani” insieme al fatto che sfoglio i giornali partendo dal fondo, che nelle attese conto le cose e che mi piacciono le scatole.
Sì, ok, messa giù così effettivamente fa paura anche a me, ma in realtà la gestisco bene (disse la ragazza interrotta, dondolando avanti e indietro abbracciandosi le ginocchia).

I giochi di destino in realtà servono solo a darti la conferma di quello che desideri.
“Gioco di destino: se riesco a trattenere il respiro 30 secondi, domani Diego mi dirà ciao”.
Ovviamente, essendo Diego un ragazzino a modo, ciao me l’avrebbe detto a prescindere, ma questa cosa mi serviva per raccontarmi che sì, i miei giochi di destino funzionano, e il mio futuro dipende da me.
“Gioco di destino: se all’ora di ginnastica, riesco a fare cento addominali di fila, anzi no, dai, facciamo 10 (ridimensionamento degli obiettivi già da allora), io e A. faremo la pace”.

Le cose ovviamente col tempo cambiano un po’ forma e sostanza, e i giochi di destino non si sono sottratti a questa regola.
La cosa su cui poggiano è comunque l’assoluta incoerenza tra la scommessa e il risultato.
“Gioco di destino: se riesco a  suonare tutto il preludio di Bach senza errori, allora domani non sarà necessario comprare il test di gravidanza ti-prego-ti-prego-ti-prego” (questa era effettivamente un po’ rischiosa, le invenzioni a tre voci di Bach non sono mai state il mio forte, tuttapposto comunque).
“Gioco di destino: se mi manda un messaggio entro le undici di stasera, allora mi ama”.
Il messaggio non arrivava, ma che importa, io nel frattempo avevo rilanciato con un altro paio di piccole scommesse che avrebbero confermato che sì, effettivamente doveva proprio amarmi.

Non è che poi sia cambiata tanto.
Del tipo, solo qualche anno fa, “se entro 15 minuti vedo lo spot Calzedonia aspetto una femmina”, e insieme “se ci sono i RingoBoys è maschio sicuro”. Inutile cercare di farmi ragionare, Lui, che inevitabilmente una delle due cose sarebbe risultata vera, io l’avrei attribuito comunque alla mia scommessa.
Ad oggi sono convinta che a dirmi che Lee fosse una femmina sia stata una capriola che ha fatto nella pancia all'ingresso dell'Ikea - gioco di destino: se si muove, le piace l'Ikea: è femmina sicuro - e che Roo fosse maschio fu una guida tv aperta a caso alla pagina in cui svettava la descrizione della puntata del giorno di Kyle XY.
Le scommesse dei giochi di destino vengono più smentite che altro, e se oggi capita di farle c'è quasi un piccolo doloroso godimento a constatare quanto vengano sistematicamente disattese,  ma se c’è una cosa che ricordo con chiarezza è la cristallina puntualità dell’avverarsi dei giochi di destino che i primi tempi io facevo su di Lui. “Se succede questo, allora vuol dire che”.

Funzionano, io ve lo dico.
È il destino su cui scommetti quello che poi ti viene a bussare.
Lo sapevo già a sette anni.

Ora resta da capire la cosa dei giornali sfogliati al contrario.

18 aprile 2011

Di biciclette e di pedalare

- Sai la mia bici?
- Quella tutta uacciu-uari che è fatta di diamante e platino e che ogni volta che andiamo in garage ci mettiamo in fila per darle un bacino, ma solo dopo un minuto di ammirato silenzio?
- Eh.
- Quella che ogni pezzo è un ricordo, e quante cose fantastiche, di cui ovviamente ignoro nome e funzione, gli hai montato su?
- Lei.
- Quella per la quale hai comprato i freni a disco, anche se una settimana prima i freni a disco io no mai?
- Mi facevano 400 euro di sconto.
- Non voglio sapere il prezzo di partenza.
- E io non voglio sapere quanto hai speso quella volta dal parrucchiere...
- Che bello essere d'accordo sul fatto che moriremo con qualche segreto.
- Già.
- E quindi la tua bici, che "è perfetta, è troppo bella, dà la paga a tutte le altre, nessuno ha una bici bella come la mia"?
- Eh, niente, è solo che... sai che spesso mi fa male la schiena...
- Non vedo il nesso.
- Forse è un po' corta.
- La schiena?
- La bici.
- Ah, e quindi?
- Alla mia schiena gioverebbe una bici più lunga.
- E te ne sei accorto ora?
- No, ovviamente lo sapevo, ma guarda un po' cosa ho trovato sul sito del CiCicli?
- Manonmidire.
- Un telaio della misura perfetta per me, in titanio, leggerissimo, ed è al 50%.
- Il problema è il 50% di cosa.
- Guarda, dai, è bellissima, guarda questo tubo, è sagomato in idroforming.
- Ah bè allora cosa aspetti... Ma te le inventi queste parole? Cosa diavolo è l'idroforming?
- Vuoi davvero che te lo spieghi?
- No, lascia stare. Ti ricordo che sono quella che ha creduto che gli aerei fossero di pane.
- Cosa te lo dico a fare.
- Appunto.

17 aprile 2011

Evitando le buche più dure

Tornata ora dalla bolla di sapone in cui vivo da un po' di weekend a questa parte, senza tecnologia, telefoni, con i pensieri sconnessi, tanta musica nelle orecchie, e libri da iniziare e finire d'un fiato.

Roo si abbruttisce ogni volta che Lee indica qualcosa fuori dal finestrino dell'auto e lui non fa in tempo a vederlo.
- Guarda! L'aereo!
- Duè l'aeleo?!
- Ah ah! Non-l'hai-visto-non-l'hai-visto! (con quella melodia canzonatoria, tipica dell'asilo)
Segue pianto di Roo per i successivi cinque minuti, poi finalmente si calma.

Solo a quel punto Lee torna all'attacco.
- Guarda! Il ponte di Calatrava!
- Duè Calatava?
- Ah ah! Non l'hai visto!
Idem come sopra.

- Guarda la Frecciarossa - le rondini - il trattore - il camper - un gabbiano (no, quella che indica il gabbiano sono io... citazione troppo sarcastica, non si può capire). - Duè? - Ah Ah! Non l'hai visto! Lacrime.


Così per due ore e mezza, e con l'aggravante delle canzoni dello zecchino.
Io certe volte mi stupisco della tenuta del mio sistema nervoso.
Non durerà, comunque.

15 aprile 2011

Parole soltanto parole parole tra noi

"Allora adesso vai giù in centralina, e mi riversi su trequarti sia la selezione di questo casting (allungandomi una cassettona da 4 chili netti) sia questo rubamatic. Serve per dare un'idea di come sarà il risultato (con la faccia "tocca puntualizzare l'ovvio"). Fai in fretta perchè tra un po' arriva il regista con il DOP, dobbiamo fare una riunione prima del PPM. Ti lascio anche questa rubrica, devi chiamare l'home economist e dargli conferma dell'orario, il visualizer che si deve muovere a produrre almeno lo storyboard, poi sulle indicazioni del regista comincerà ad abbozzare lo shootingboard (anche qui faccia da "ovvio", con leggera scrollata di testa). Abbiamo anche un problema di location che sta risolvendo il DdP, io intanto chiamo la buyer per i props e il Cliente (giuro che era pronunciato maiuscolo) che ci deve dare conferma delle presenze".

Questa cosa qui sopra è la trascrizione dei miei primi cinque minuti nel piccolo-spazio-pubblicità. E io stavo lì di fronte, senza capirci niente, e ogni tanto mi guardavo alle spalle come a chiedermi "non sta parlando con me, vero?".
Ogni ambiente ha il suo linguaggio.
Le parole servono anche per delimitare un mondo, tracciare un confine, escludere l'esterno alla comprensione dell'interno.
Quelle parole trasudavano esclusività. Come a dire, se non le capisci sei fuori.
Non è una cosa tipica solo di quel mondo, cioè ogni ambiente ha le sue, senza che questa cosa costitutisca in alcun modo una colpa o un giudizio di merito.
È semplicemente una costruzione naturale.
Io, anche attualmente, lavoro in un posto dove capisco la metà di quello che le persone si dicono tra loro, ma siccome sono persone belline le amo lo stesso, un po' come quando guardi dottor House e non sai niente dell'amiloidosi, ma ti appassiona la storia, stessa cosa, uguale.

Inutile dire che la prima volta che le ho sentite, quelle parole lì sopra, non le ho capite. Ero un punto di domanda con una donna intorno. E ho pianto, macheccentra.
Eppure solo a distanza di qualche mese le usavo anch'io con la stessa disinvoltura.
Ero dentro. Non è una vanteria, è una constatazione. Di fatto, affrontare la quotidianità capendo cosa ti dicono i tuoi colleghi rinnova la tua voglia di lavorare (e la tua possibilità di farlo, senza danni).

Costruzione sociale del linguaggio e costruzione linguistica di un contesto.

Ce ne sono infiniti esempi a tutti i livelli, da una storia d'amore alla famiglia alle mammefuoridallasilo, al parchetto, alle Amiche, ai nemici. Ogni contesto sociale ha il suo, e mi sorprende constatare l'elasticità con cui si passa dall'uno all'altro senza apparente difficoltà, come a passare attraverso le sette chiavi in cui si leggono gli spartiti di un'intera sinfonia.

Ogni relazione in fondo, se è ben costruita, ha il suo linguaggio esclusivo ed escludente.
Ci sono situazioni che non esistono che nelle parole che le creano.
Per questo motivo per me le parole contano molto.
Perchè la stessa parola se detta in un contesto o un altro può assumere significati diversissimi.
La trovo una cosa magica e bellissima.
Il setticlavio linguistico.

13 aprile 2011

Ma non so spiegarti che il nostro amore appena nato è già finito

- E come va col tuo fidanzato?
- Quale?
- Ah già... mmmm, Mattia, quello dell'altra classe.
- Non lo amo più.
- Ah, ok è finita. E perchè?
- È sempre stanco.
- Ha cinque anni, di cosa potrà mai essere stanco?!
- Non lo so, ma va a finire che se lo sposo poi non ha voglia di fare i lavori di caaaasa, di stare coi bambiiini, di cucinaaaare...

E niente, mia figlia, cinque anni, la sa molto più lunga di me.
Di me fino a 25, non di me alla sua età.
C'è di che essere orgogliosi da 'ste parti.

Anche nella striscia di Gaza va bene

E niente, c'è che Lui è in trasferta da mille anni.
E Roo ha dei piccoli problemini di salute che vanno monitorati.
E a Lee la primavera l'ha colta in fase "simpatiaportamivia".
E le persone che vorresti vicine sono lontane, mentre i rompicojoni non trovano mai traffico per raggiungerti, e arrivano coi pullman.
E poi il SignoredellePersiane, che mi rimbalzava da mesi, si è palesato proprio ieri, e ora ho la casa coperta da sottilissima polvere di legno e intrisa di un delizioso effluvio a base di flatting, è meraviglioso vero?

E poi non dormo.
Chè lo so che c'è gente abituata a, ma io fino a poco tempo fa ero una creatura mitologica - metà donna metà divano (materasso, poltrona, laqualunque).

Ci sono giorni che partono in salita e alle sei di mattina ti chiedi come farai ad affrontare le successive sedici ore. Oggi è uno di quei giorni.
So mica se je la fo.
Nella prossima vita, comunque, in trasferta ci vado io.
Da cui, il titolo.




* Aggiornamento: devo fare proprio tenerezza. I miei si sono offerti babysitter per stasera. Si esce! Mi sento già molto meglio.

12 aprile 2011

E poi c'è il pezzo che fa "grazie per il tempo pieno, grazie per la te più vera, grazie per i denti stretti, i difetti, per le botte d'allegria, per la nostra fantasia"

Io benedico il formato digitale perchè ha risolto molti dei miei problemi da monomaniaca dell'ascolto in cuffia.
Se così non fosse stato, cioè se avessi ancora le cassette (neanche i cd, proprio le cassette, il vero formato della mia adolescenza musicale), probabilmente le migliori canzoni della mia selezione sarebbero scomparse sotto quintali di fruscio. Chè io sono della generazione che ha fatto in tempo a vedere i walkman, aggeggi di cinque chili buoni, in cui inserivi la cassetta, e pregavi che le pile non ti abbandonassero sul più bello (con quell'effetto disco 45 giri messo a velocità del 33) e poi con dei tasti grandi quanto un attuale shuffle, mandavi avanti e indietro il nastro, all'occorrenza.
L'occorrenza nel mio caso significa "sempre".
Stop. Rewind. Play. Stop. Rewind. Play. Oltranzista.
Perchè io non ascolto un album, che lo inizi, lo finisci e ti fai raccontare tutta la storia che ha dentro, no.
Io vado a periodi, per ogni periodo c'è una canzone, e per ogni canzone c'è una frase, una sola, specifica, che guarda sembra messa lì apposta per me, oppure con quella musica lì che "brividi".
Parole o solo musica, il risultato della degenerazione della mia monomania è che posso ascoltare per un'ora di fila, sempre esattamente gli stessi 30 secondi.
Che c'è stato il periodo "a te che non ti piaci mai e sei una meraviglia",  il periodo " if they're green or they're blue", quello "voglio il tuo profumo", quello che "ho guardato dentro un'emozione e ci ho visto dentro tanto amore" e ora c'è quella del titolo. Che ha dentro la meraviglia dei ricordi e un senso di mancanza e di addio che mi strappa il cuore. Proprio solo quella frase lì, a oltranza.
Vi prego, ditemi che non sono sola.
Non sono la sola, vero?
Avanti, esempi.

10 aprile 2011

Le vite degli altri

Una sera di tanto tempo fa.
Un ristorante nel modenese.
Io e Lui eravamo ai primi appuntamenti, quelli che ancora non sei in grado di ammettere che sei innamorata, quelli che ogni scusa è buona per starsi addosso, quelli che si parla tantissimo "che - aspetta - devo dirti questa cosa, è importante", quelli in cui sembravamo ad una festa tutta nostra a cui il resto del mondo non era invitato.
Nel ristorante tanta gente.
In un angolo, seduti ai lati opposti di un tavolo quadrato un ragazzo e una ragazza della nostra età, lui la guarda come in attesa di una risposta, lei gioca con dei pezzettini di stuzzicadenti sulla tovaglia cartadazucchero che stende con le mani, come a togliere una briciola che non c'è.
Lui li indica con un cenno della testa e dice: "Chissà di cosa stanno parlando", e io attacco a raccontargli la storia di quei due, e parlo per il quarto d'ora successivo aggiungendo sempre più dettagli, con Lui che mi osserva tra il divertito e il sorpreso, e mi fa domande per saperne ancora di più.
Da quella sera, questo è diventato un nostro gioco.
Raccontami quell'uomo.
Inventami quelle due amiche.
Parlami di quella coppia.

Soggetti sempre diversi che spaziano dal gruppo di amici al clochard, dalle ragazzine che aspettano il pullman all'avvocato rampante.
Le storie nel tempo sono diventate sempre più articolate, e anche Lui ha imparato il ritmo e partecipa alla narrazione.

L'altra sera in un locale ho visto un ragazzo e una ragazza. Lui bello senza se e senza ma, lei anche bella ma in modo diverso, non immediato. Non era tanto l'aspetto fisico a colpirmi ma la loro fisicità reciproca. Parlavano, prima un po' rigidi, poi sempre più sciolti di pari passo ai cubetti di ghiaccio dei loro cocktail, sempre guardandosi negli occhi.
Da quel che ho visto hanno parlato tantissimo, prima uno poi l'altra. Il tutto era arricchito da una serie di gesti piccoli e delicati, di quelli che di fronte a una domanda diretta si possono sempre ritrattare, "no, guarda mi hai frainteso": nel gesticolare i dorsi delle loro mani si sfioravano, lei seguiva con il dito il corso delle vene dell'avambraccio di lui, lui si avvicinava per sentire bene le parole, lei gli rubava la ciliegina dal cocktail, lui le passava una mano sulle spalle come una brezza leggera.

Erano da togliere il respiro.
E la situazione aveva quel non so che di potenziale inespresso che sprigiona una sensualità prepotente, come tutte le cose incerte che sono la quintessenza del romantico.
Non è successo nulla di propriamente fisico, saranno stati amici, non so, ma deve essere difficilissimo in una situazione così, perchè là in mezzo tra di loro c'erano un sacco di cose.
Amici, sicuro, ma c'era dell'altro, qualcosa che non aveva modo di uscire.
Era come se volessero "viversi" ma potessero soltanto "respirarsi".

Sarebbe stata una bella storia da raccontare.

8 aprile 2011

La morte (violenta) del cigno

Zoomata dallo spazio, stelle, nuvole, cielo, la crosta terrestre, i continenti, lo zoom si avvicina sempre più in stile GoogleEarth, Europa, Italia, Nord Italia, Lombardia, quella è Milano, e quello sputo di case lì vicino? è Snobville, centrocittà, una via, un palazzo, il quintopiano, un appartamento, una camera, un letto. Sul letto io che cerco di infilarmi i jeans, che ho comprato di una taglia che non mancherei di definire ottimista ("ma tanto mi entrano") da cui risulta che per infilarli mi devo sdraiare sul letto e sperare che le cuciture reggano, e tutto per dire che entro in quella taglia lì, eh, no no, ma sono molto matura.
Ecco mentre io lottavo con i miei jeans "modelladomani", Roo ha approfittato della portafinestra lasciata socchiusa in cucina per defenestrare un mio dvd. Attenzione, non uno dei suoi, proprio il mio dvd del "Lago dei Cigni" che contavo di mostrare a Lee al più presto cercando di instillarle una folgorazione per la danza classica e via dicendo, e il tutù e lo chignon, e le punte, quelle cose lì.

Ma sì che poi la lascio libera di scegliere ciò che vuole, è ovvio.
Spaleremo tonnellate di letame in qualche maneggio della zona, proprio come vuole lei.

Comunque sono convinta che quella di Roo sia una chiara presa di posizione, trasversale e lucidissima, nei confronti del mondo della danza.
Per dire, l'ultima volta ha distrutto la TV.
Questo qui mi diventa un critico, sicuro.

7 aprile 2011

Una settima di sensibile

L'accordo di settima di sensibile è il mio preferito: è formato da note che suonate insieme danno una sensazione di qualcosa di sospeso. Se ne sta lì, aereo, obliquo, in attesa di potersi "risolvere" sulla sua tonica.
La sensazione che si ha a sentirlo è di qualcosa che sta aspettando di concludersi, di risolversi, di approdare su un piano più stabile, definitivo, sicuro.

Ecco io mi sento un po' così, sospesa, inquieta, scomoda. Devo trovare il mio personalissimo punto di approdo.
E lo so, poi passo per quella che trascorre le giornate a guardarsi indietro, ma è un periodo che ho bisogno di rivedere la strada fatta, le imprese compiute, le mie capacità storiche, prima di prendere la rincorsa per il salto, e il successivo atterraggio.
Perchè il salto non so ancora in che direzione farlo, non so cosa farò da grande.
E quindi in attesa di decidere che strada prendere, mi siedo un attimo sul ciglio a reinterpretare cognitivamente il mio passato nell'ottica di una construzione di futuro che stenta a palesarsi. Rivivo quei periodi quando fare scelte era una cosa quotidiana, naturale, spontanea.
Conoscendomi, per la prima volta ho la sensazione che potrei starmene qui, senza scelte, per sempre. Sospesa, irrisolta, come una settima di sensibile eterna.

6 aprile 2011

Il prossimo step sono 20 chili di tritolo

Sono due giorni che mi arrabatto per capire come diavolo si può chiudere la casetta qui accanto, che nel frattempo impera incontrastata in un salotto che non ce la fa più. È rosa, morbidosa, e apparentemente taaaaaaaanto innocua, ma in realtà è un personal trainer travestito da castello delle principesse.
L'ho comprata, l'ho montata come una normale tenda da campeggio, con un minimo di zelo in più rispetto a quando in campeggio ci andavo davvero, e non ho neanche conservato le istruzioni per riporla, tanto cosa vuoi che sia...
E lì è iniziato il dramma.
Perchè ha due strutture metalliche circolari di un metro di diametro, che secondo i perversi sadici malefici - io li odio -  costruttori dovrebbero ripiegarsi su se stesse, formando ciascuna delle due strutture strutture metalliche, tre cerchi concentrici.
Ma non accade niente di tutto questo.
Disperata torno al negozio e chiedo la fotocopia del libretto delle istruzioni.
La tizia impietosita me le regala originali acciocchè io possa capire meglio dalle foto. Questa cosa avrebbe già dovuto insospettirmi, nevvero?
Capire dalle foto, dicevamo: ma capire cosa?
Ci sono tre foto con le mani di una tizia dalla manicure discutibile che fa vedere come la devi ripiegare su se stessa, ma in realtà non funziona affatto, cioè tu sei lì che assumi tutte le posizioni dello yoga avanzato e pure un paio del kamasutra in solitaria, mentre senti di aver proprio bisogno del fastumgel perchè cominciano a farti male muscoli che non sapevi neanche di avere.
Ti spogli per un amplesso ancora più verosimile con la casetta, perchè stai sudando, e quella invece niente, se ne sta lì in tutto il suo roseo metroquadro di ingombro (roba che a Milano te la vendono per monolocale openspace), ti guarda sorniona e ancor più morbidosa e tu senti montare una frustrazione pari solo a quella che provi dopo una settimana di dieta che non hai perso neanche due etti (alzi la mano chi sa di cosa parlo).
Inutile dire che i bambini ridono come matti a vederti in difficoltà, eh...
In difficoltà e in mutande a quel punto.

Io non so come procedere.
Le soluzioni sono le seguenti:
* la appendo al muro come quadro tondo, che la tridimensionalità dell'arte è comunque una gran cosa
* la metto sul balcone, ma poi Rosa&Olindo del piano di sotto me la considerano una veranda e e me la conteggiano come millesimi
* la faccio brillare.


La terza che ho detto.
E mi sa proprio di sì.

4 aprile 2011

Piccoli ultrà

Accompagnare Lee all'asilo, all'indomani di un derby vittorioso, con lei che chiede di mettere la maglia del Milan con scritto il suo nome, "chè anch'io c'ho il cuore rossonero" (in aggiunta alla solita esplosione di colori che la contraddistingue), e vedere il suo amico interista che la schifa mentre lei gli ride in faccia, ecco, non ha prezzo.

Una casa nel verde

Weekend passato sull'appennino emiliano, tra quelli che sono i posti che L'hanno visto ragazzino in vacanza. A ogni angolo c'è un racconto, un'avventura, di un periodo della sua vita in cui Lui non era ancora quello-che-c'è-nella-mia-vita, e questo suo essermi estraneo lo rende per certi aspetti ancor più interessante, che mi racconta di sè come se parlasse di un altro, anche se piccolo, anche se giovane.
Lo prendo in giro perchè so a memoria i racconti di ogni posto, e mi immagino un futuro in cui i bimbi saranno abbastanza grandi da ripercorrere le sue storie con il labiale afono parola per parola.
Alzi la mano chi non ha un genitore che nello stesso identico punto, di una stessa strada, ogni volta ti dice sempre la stessa frase, e sempre con l'espressione di chi lo sta facendo per la prima volta.
Ecco.

La casa nel verde è un posto meraviglioso. Si adagia in un borgo costituito da cinque o sei case in pietra e legno, tutte di parenti di Lui. In questo posto i bambini vivono quella dimensione "da cortile" che al giorno d'oggi non esiste più, ma che noi figli degli anni '80 abbiamo ben presente: quella, cioè, in cui saluti mamma e papà alle 9 di mattina e li rivedi al volo per pranzo, e poi via fuori ancora a giocare senza pericoli (più o meno) fino all'ora di cena.
E io mi isolo. Potermi isolare è davvero un lusso.
Quest'estate ho letto i quattro libri di Twilight in dieci giorni. Stavolta ero un tutt'uno con la sdraio, l'iPod e la mia ultima monomania musicale (cioè l'ascolto oltranzista di una sola canzone in repeat).
Vacanza.
Sole.
Relax.
I bambini si misurano con una natura che gli corre incontro, e constatatano che gli animali sono effettivamente un po' più grandi di quelli che vedono sui libri. Escono dal letargo anche i bambini, e ritrovano nelle gambe una voglia di correre e muoversi che sembrava sopita. Ecco, com'è che questa cosa a me non capita mai, spiegatemi... In ogni caso la primavera non mi è mai sembrata così bella come quest'anno, non so.

E poi ecco lì che arriva, come una tegola sulla testa, la richiesta di Lui di camminare.
- Come scusa, credo di non aver capito.
- Camminare, sai le gambe, i piedi, quella cosa lì - mi dice mimando una camminata al rallentatore.
- Non vedo negozi qui in giro, e poi sono in vacanza.
- Boschi, la natura, l'aria pulita.
- Ho nell'iPod la registrazione della circonvallazione di Milano all'ora di punta.
- Muoviti.

E quindi si cammina, o meglio, Lui e Lee zompettano come due stambecchi mentre io e Roo restiamo indietro e facciamo a gara a chi si lamenta di più.
- Non me l'avevi detto che era così in salita, la strada...
- È beo (vero). Non ci bengo più.
- Neanche io.

Ecco il solo aspetto negativo di questi weekend, la Sua fregola di farmi fare sport.
Una battaglia persa, comunque.

1 aprile 2011

Ciccioli e lambrusco

Andiamo in pellegrinaggio da mia suocera, al festival del carboidrato e del superlativo assoluto.
Cappelletti, erbazzone, tagliatelle, lasagne, passatelli, gnoccofritto, tigelle, diosacosaltro.

Spero che aprile si riveli davvero per quello che deve essere, cioè dolce dormire, altrimenti non ne esco viva.
Spero di abbronzarmi, anche se non so se si possa definire così il passaggio dal pantone "mozzarella" al quello "pollo crudo" (la mia carnagione è tipo "hai trovato brutto?").
Spero di comportarmi bene.

La sola cosa certa è che al ritorno sarò tre chili in più, minimo.